La composizione del concerto brandeburghese no. 5 in Re maggiore (BWV 1050) risale con molta probabilità al tormentato 1720, anno del secondo viaggio di Bach a Carlsbad e della morte di Maria Barbara.
Il quinto è un concerto particolare, molto diverso dagli altri. Possiede infatti due curiose anomalie, la prima riguarda il ruolo solistico del clavicembalo e la seconda si trova invece nel secondo movimento, dove il motivo dominante è affidato ai tre elementi del concertino.
Ma facciamo un passo indietro.
Giusto così, per contestualizzare.
Il concerto grosso ed i brandeburghesi.
Se vogliamo proprio cercare una genesi del concerto grosso arriveremo in breve tempo alla cosiddétta sonata a tre “da chiesa“, diffusasi principalmente a Bologna a metà Seicento. Il modello formale più evoluto (e quasi definitivo) vede però la luce a Roma verso la fine dello stesso secolo, grazie al compositore emiliano Arcangelo Corelli.
Con i suoi dodici Concerti dell’op. 6 il concerto grosso trova una sua fase di maturità: in questa un forma un gruppo ristretto di solisti (nel caso di Corelli abbiamo due violini ed un violoncello) che prende il nome di “concertino” o “soli” si contrappone all’intero corpo orchestrale denominato “grosso” o “tutti”.
La particolarità di questa contrapposizione non è solamente di carattere generico, quindi basato sul semplice contrasto di sonorità, ma soprattutto una netta divisione di carattere formale: al “grosso” spetta l’esposizione del ritornello, al “concertino” gli episodi solistici.
Tutto ciò segue la successione di parti e movimenti tipica della sonata a tre del quale il concerto grosso rappresenta una diretta evoluzione (è possibile seguirla ascoltando inizialmente le Op. 1 del 1681 e Op. 3 del 1689 di Corelli che sono in forma di sonata a tre).
Per quanto riguarda i Brandeburghesi invece dobbiamo fare prima una precisazione: questi sei concerti, trecento anni dopo la loro composizione, sono considerati tra i più importanti ed innovativi lavori di tutto il periodo Barocco.
Sorprendentemente però all’epoca della loro composizione non vennero mai eseguiti!
Bach diede ad essi il titolo ufficiale di Six Concerts avec plusieurs instruments ma il nome che viene abitualmente utilizzato gli fu dato dal musicologo tedesco Philipp Spitta, per via della loro destinazione.
Essi infatti vennero dedicati al margravio Cristiano Ludovico di Brandeburgo-Schwedt, grande amante di musica: Bach tentò di attirare la sua attenzione con questi concerti che però in cuor suo sapeva non sarebbero stati mai eseguiti, in parte a causa dell’elevata difficoltà ed in parte a causa della carenza d’organico a corte. Il compositore non ottenne né soldi né alcuna risposta dal margravio.
I manoscritti, realizzati da Bach di suo pugno, furono purtroppo archiviati e videro la luce solo nel 1850.
Ok, finito con i cenni storici direi di passare alle cose belle.
I sei concerti brandeburghesi sono sì composti secondo i principi del già accennato concerto grosso ma rappresentano però un unicum nella letteratura musicale del concerto barocco!
Bach non solo stabilisce un organico differente per ogni concerto, ma dimostra una padronanza eccezionale nello scrivere per combinazioni talvolta particolari (da notare il gruppo di solisti del secondo concerto, composto da Tromba, Flauto dolce, Oboe e Violino Concertato oppure la presenza di strumenti ormai obsoleti come la viola da gamba).
Tutti e sei i concerti sono scritti in tonalità maggiori e sono caratterizzati da una particolare vivacità ritmica davvero difficile da rapportare alle difficoltà vissute dal compositore in quel periodo della sua vita, altro segno della grande professionalità.
Il no. 5
Ho già accennato alle particolarità di questo lavoro ma è cosa buona e giusta parlarne in maniera più approfondita.
Dopotutto tra tutti i concerti brandeburghesi questo è pur sempre il mio preferito!
Partiamo dall’organico: al corpo orchestrale si contrappone un trio di solisti virtuosi composto da Violino, Flauto e Clavicembalo.
La prima novità è proprio questa, Bach infatti nel manoscritto parla di «Concerto a Cembalo concertato», finalmente lo strumento a tastiera passa dalle retrovie (ruolo di Basso continuo) al fronte.
E questa breve apparizione solista si manifesta nella forma di una “sorpresa” (nel senso barocco del termine): alla fine dell’allegro iniziale compare una lunga cadenza, cromatica, virtuosistica e caratterizzata da passaggi fortemente dissonanti.
Bach era cosciente del fatto di introdurre una novità, infatti non solo scrisse tutta la parte di tastiere ma indica la cadenza con l’espressione «solo senza stromenti».
Nel marzo 1719 venne costruito il grande cembalo berlinese ed alcuni musicologi sostengono che tale cadenza venne scritta anche per dimostrare le potenzialità di questo strumento costruito da Michael Mietke ed acquistato dalla corte di Cothën nel 1720.
Per la seconda particolarità dobbiamo fare un salto al secondo movimento (Affettuoso): abbiamo già detto che il motivo principale non è affidato all’organico orchestrale ma bensì al concertino. Quest’ultimo però espone due voci distinte, costruendo così una vera e propria trama polifonica a quattro parti reali. La melodia, meravigliosamente intima e struggente è in tonalità di Si minore e ricorda una melodia operistica di stampo italiano.
Il terzo movimento, l’allegro finale, rientra abbastanza nella norma ed è in forma imitativa in tempo di Giga.
Al gioioso fugato iniziale si contrappone però un’improvvisa e drammatica deviazione nella tonalità di Si minore.
- Written by: antcafasso
- Posted on: 27/09/2021
- Tags: Bach